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Depressione

Uno sbadiglio dell'anima

depressione parma e reggio emilia

Depressione, parola plurima che ferisce " come una pallottola", che evoca scenari senza luce.

Come si riconosce, come la si vive?

La persona si costruisce, rispetto a certi eventi di cui non aveva previsto l'esito negativo (un insuccesso scolastico, sul lavoro, un fallimento sentimentale etc..) una credenza, cioè una percezione rigida:" sono incapace, non ho le risorse per..."

Vive successive sconfitte, non importa se percepite o realistiche, che diventano la prova della propria incapacità e giustificano la rinuncia.

La sconfitta può essere percepita e non reale: credere di non potercela fare è già non farcela.

La sensazione di fallimento e di sconfitta conduce a morire a poco a poco, entrando nella trappola della RINUNCIA: tanto vale arrendersi, perché si soffrirà comunque.

Per dirla con HONORE' DE BALZAC “La rinuncia è un suicidio quotidiano".

Vittima di sé stesso, degli altri, del destino infausto o del mondo, la persona si chiude in un assordante silenzio. La sua unica parola è la lamentela, la sua unica sensazione è l’amarezza, il suo unico desiderio è il ritiro dal mondo.

Questi i colori più grigi del tunnel:

  • la sensazione di avere fallito nel raggiungere una meta, nel realizzare i propri desideri
  • la sensazione di impotenza in rapporto con sé stessi, gli altri, il mondo
  • una sensazione di crescente ostilità verso sé stesso
  • sensazioni crescenti di smarrimento, inquietudine, oppressione, spossatezza.

D'ora in poi niente più sarà come prima e, come conseguenza, si fanno strada ruminazioni, si torna di continuo sull'evento doloroso. I pensieri ossessivi invadono la mente e lasciano la persona inerte e senza energie, vuota e spossata.

SFONDO PARANOICO: GLI ALTRI CE L'HANNO CON ME

Un’esperienza di delusione cambia la percezione della realtà abituale: avevo un’illusione, credevo fermamente in quella persona ma a un certo punto accade qualcosa che non mi sarei mai aspettato accadesse.

D'ora in poi niente più sarà come prima e, come conseguenza, si fanno strada ruminazioni, si torna di continuo sull'evento doloroso. I pensieri ossessivi invadono la mente e lasciano la persona inerte e senza energie, vuota e spossata.

Gli altri, prima degni della mia fiducia, diventano minacciosi, persecutori.

E i pensieri vanno sempre a loro: “la mia capa mi fa sentire un incapace con le sue critiche," " ogni errore è un disastro senza rimedio"," il mio compagno mi biasima per qualsiasi cosa faccia “e così via.

La conseguenza è una rabbia forte, ma io la trattengo sia per paura del giudizio, sia per timore di perdere il controllo. Lotto contro me stesso. PERDO E IMPLODO. Esplodo dentro. Mi sento incapace e impotente, provo un senso di vuoto e di spossatezza.

Le uniche due reazioni che vedo possibili sono l'isolamento sociale e l'evitamento.

QUANDO IL NEMICO SONO IO: non posso più fidarmi di me stesso

Rimugino, rimugino: è successo qualcosa che non doveva succedere e, dato che è successo, si ripeterà inesorabilmente, portandomi ad ulteriori fallimenti.

Dentro di me gridano forte:

un persecutore: " sarai capace di fare questa cosa, sarai all'altezza di sostenere quell'impegno, potrai fare questo senza crollare? non posso fidarmi di me stesso. Cerco di far tacere i dubbi con la ragione, ma ogni battaglia ingaggiata contro sé stessi è una battaglia persa in partenza.

un sabotatore:" qualunque cosa tu faccia sei in errore, in qualsiasi modo tu la faccia": anche se mi riesce, avrei dovuto farla prima o meglio!

un inquisitore: "sei colpevole di quello che stai subendo per la tua incapacità di fronteggiare e di gestire le situazioni”.

Riprovare vorrebbe dire correre dei rischi, sbagliare e fallire ancora. non voglio più correre rischi, ma stare al sicuro nella mia corazza. Ma purtroppo la corazza non mi può proteggere, ma solo imprigionare.

COME USCIRNE?

Ben consapevole di non esaurire la complessità, l'originalità e il rigore di un itinerario terapeutico, fornisco alcune sintetiche esemplificazioni.

Tutti i giorni mi domando non cosa dovrei fare per risolvere il mio problema, ma “cosa dovrei fare o non fare, pensare o non pensare, se volessi volontariamente peggiorare la mia situazione”, senza, ovviamente, mettere in pratica quello che penso. Oriento in tale modo lo stile pessimistico a ritorcersi contro sé stesso. Incremento volontariamente l’idea disfunzionale per reagire verso il suo contrario, attivando pensieri positivi. In altre parole," storco la pianta per poterla raddrizzare”.

Metto una paura più forte contro una paura più piccola: “ogni volta che rinuncio ad eseguire un determinato comportamento, peggioro la mia situazione, in quanto ricordo a me stesso di non essere più quello di prima”. Gradualmente emerge in me la sensazione di "evitare di evitare".

Attuo la “congiura del silenzio”. Le tentate soluzioni dei familiari di proteggermi, confortarmi, consigliarmi, vengono interrotte. Mi convinco che, se avessero funzionato, il problema sarebbe già stato risolto e provo la sensazione che più continuo a lamentarmi con gli altri del mio problema più lo nutro.

Introduco un pulpito per le mie lamentazioni. Dedico alle mie lamentele un tempo e uno spazio prefissato. Ogni sera, per un tempo che decido io, potrò lamentarmi davanti ai miei familiari, osservando la regola che essi non dovranno replicare in nessun modo a quanto ho detto e che, una volta trascorso il tempo prefissato, posticiperò le mie lamentazioni fino all'appuntamento del giorno successivo. In questo modo acquisisco il controllo delle mie lamentazioni fino ad estinguerle.

Introduco “la peggiore fantasia”. Immagino la mia situazione in modo più pessimistico rispetto a come si presenta nella realtà, facendomi le peggiori fantasie rispetto alle mie difficoltà. In altre parole " spengo il fuoco aggiungendo tanta legna".

Scrivo il romanzo dei disastri che nella mia vita ho realizzato: riscrivendo, ripassandoci in mezzo, ritesso la trama drammatica della mia vita. La percezione di quello che è successo nella mia vita comincia a trasformarsi. Libero dal peso del mio passato, posso iniziare a ricostruire.

Introduco il “come se”: arrivato a questo punto, posso accedere a rappresentazioni diverse di me stesso e tradurle nell’azione più piccola da mettere in pratica ogni giorno “come se ne fossi capace ".

RISULTATI ATTESI DA UN PERCORSO TERAPEUTICO

Gli anticorpi per le inevitabili sconfitte sono stati fatti propri: la persona è stata " stanata" dal suo ruolo di vittima e allenata a tollerare i rischi dell’imperfezione e dell’incertezza, ha recuperato la capacità di sfidare sé stesso, la voglia di misurarsi con le difficoltà e di correre i rischi che esse comportano.

Ha acquisito un senso di autoefficacia e si è resa conto che "Le avversità non le affrontiamo perché sono difficili, ma sono difficili perché non le affrontiamo"(Seneca).


Spunti bibliografici

  • Muriana, Pettenò, Verbitz. I volti della depressione. Ponte alle grazie
  • Nardone. Cogito, ergo soffro. Ponte alle Grazie.
  • Nardone. Cambiare gli occhi, toccare il cuore. Ponte alle grazie
  • Muriana, Verbitz. Se sei paranoico non sei mai solo! Alpes Italia srl.
  • P.Watzlawick. Di bene in peggio. Feltrinelli.
  • Nardone. Psicotrappole. Ponte alle grazie.

Dottoressa Pierangela Bonardi
Psicologa Psicoterapeuta - Parma - Reggio Emilia

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Dott.ssa Dott.ssa Pierangela Bonardi
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Emilia Romagna 0907 dal 08/06/1993
Iscritta all'Albo Psicoterapeuti Emilia Romagna (03/03/1995)
Laureata in Pedagogia e Psicologia, Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulente del Tribunale di Reggio Emilia

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